2° Puntata – Il Kazakistan, visto da un finestrino

Da Mosca mi sposto in Kazakistan in treno. Il viaggio è lungo e dovrebbe prevedere una sosta ad Aralsk, per spezzare l’enorme distanza che c’è tra la capitale russa e Tashkent (Uzbekistan); tragitto che il treno copre in 3 giorni pieni.
L’arrivo ad Aralsk non e’ ottimale dal punto di vista della tempistica: e’ tardi e dal treno la citta’ non fa un effetto felice, di fatto pare depressa e polverosa e porta i segni del tragedia che si sta abbattendo sul Lago Aral,

costretto ad una lenta morte per prosciugamento da un folle piano di irrigazione russo che ha portato alla deviazione del suo maggiore affluente. Sono quasi le dieci di sera e l’atmosfera cupa sommata al fatto di non avere in tasca uno spicciolo di valuta locale, mi fanno pensare che forse e’ meglio passare la terza notte consecutiva sul treno e scendere il mattino successivo, a Turkistan.

La vista del Kazakistan dal finestrino di un treno e’ un susseguirsi di sabbia e deserto, erba secca e lande steppose; ogni tanto, in lontananza, si avvista qualche pigro cammello e le citta’ paiono delle oasi, separate da centinaia di kilometri l’una dall’ altra: intorpidite da temperature che toccano i 45 gradi, si risvegliano all’ arrivo di ogni treno, quando la popolazione si riversa sui binari ad accogliere il convoglio e la sosta diventa occasione di incontri e scambio di merci.

L’arrivo a Turkistan mi da la possibilita’ di darmi una ripulita, dopo 60 ore consecutive di treno. La citta’ e’ resa famosa da un importante Mausoleo, eretto da Tamerlano in favore di un suo amato maestro. La sosta riserva anche un piacevole incontro con la tipologia di viaggiatore che vive “on the road”: faccio la conoscenza di un motociclista olandese, una ciclista svizzera e una coppia di francesi in camper. Mi raccontano delle insidie delle strade kazake: il caldo soffocante, le lunghe distanze, motori che cuociono, visi bruciati dal sole, la buca nell’ asfalto sempre in agguato, la sabbia nella benzina.

Dormo una notte libero dal continuo e monotono movimento del treno. La mattina successiva sono gia’ di nuovo in viaggio, saltando da minibus a minibus, verso la frontiera uzbeka. Tashkent mi accoglie all’imbrunire e mi stupisce subito con la sua burocrazia e le sue regole: per acquistare un biglietto ferroviario per Samarcanda devo prima recarmi all’ ufficio migrazione, dove un simpatico ufficiale sulla sessantina, immerso nella visione di una partita di calcio di Coppa d’Asia, deve registrare il mio spostamento. Fatto cio’, posso comprare il biglietto e salire sul treno!

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